Sotto un cielo che non smette mai di cambiare volto, tra le sabbie chiarissime e i riflessi salmastri di Illetes, qualcosa da mesi continua a sfidare il tempo. Si chiama Helisara. O forse dovremmo dire “si chiamava”, perché ora è solo un corpo lungo ventitré metri inchiodato sulla scogliera, come una cicatrice che il mare non riesce a cancellare. È lì da tempo, arenata in una delle spiagge che da sempre seducono con la loro bellezza cruda e primitiva. Eppure oggi quella stessa spiaggia sembra custodire un enigma, un sospeso che nessuno vuole risolvere.
Il destino della Helisara è legato a uno di quei nomi che evocano tanto la grandezza quanto la controversia. Era appartenuta a Herbert von Karajan, figura leggendaria della musica classica e direttore d’orchestra il cui passato si intreccia a doppio filo con un’epoca che il mondo ha cercato di lasciarsi alle spalle. Fu uno degli uomini simbolo di un secolo inquieto, e il suo legame con il Terzo Reich, benché offuscato da mille sfumature, rimane inciso nei libri come nei sospiri dell’opinione pubblica.
La Helisara, sotto le sue mani, era molto più che una semplice barca a vela. Era rifugio, simbolo, tempio mobile di un’estetica che cercava ordine nel caos. Poi il tempo ha girato pagina, e quella stessa barca è diventata solo una presenza muta nel paesaggio marino di Formentera.
Tutto è cambiato in un momento. Una tempesta, chiamata Dana, ha colpito l’isola con la furia cieca che solo la natura sa mostrare. Era il cuore dell’estate, e in quelle ore la costa si è trasformata in un teatro caotico dove le barche venivano spinte verso riva come giocattoli dimenticati. Alcune sono state salvate in fretta, altre hanno trovato la via del ritorno. Due soltanto sono rimaste inchiodate al loro destino: la Scipio1924, con la vela rossa come una ferita aperta, e la Helisara.
Oggi, mentre tutto intorno ha ripreso a fluire come prima, lei è ancora lì. Immobile. Testimone involontaria di un silenzio che pesa più del suo stesso scafo.
Rimuoverla costerebbe una fortuna. Una cifra che galleggia nell’aria come un peso che nessuno vuole accollarsi. Si dice che servirebbero centinaia di migliaia di euro. Ma chi dovrebbe pagare? Il suo ultimo proprietario, a quanto pare, è scomparso. Nessuna traccia, nessun nome. Solo un’assenza che si fa ogni giorno più ingombrante.
Le istituzioni locali temporeggiano, le procedure si attorcigliano in grovigli amministrativi, e nel frattempo la sabbia copre, il sole sbianca, l’acqua corrode. La Helisara si sta consumando lentamente, come una storia che nessuno vuole raccontare fino in fondo.
Il suo valore, seppur logorato dal tempo e dall’abbandono, supera quello delle operazioni necessarie per rimuoverla. Per questo tutto appare così inspiegabile. Perché lasciarla lì? Cosa impedisce a qualcuno di prendersene cura, di salvarla da un oblio così imbarazzante? Forse non si tratta solo di soldi. Forse si tratta di fantasmi, di ricordi che pesano più dell’acciaio e della vetroresina. Forse c’è qualcosa che nessuno vuole davvero portare a galla.
E così resta lì, come un relitto di coscienza, come una domanda a cui nessuno ha ancora trovato il coraggio di rispondere.
Ogni giorno, i passi dei turisti sfiorano il suo relitto come se fosse una scultura abbandonata. Qualcuno scatta una foto, qualcun altro si ferma a leggere una storia a metà. Pochi conoscono il nome del suo ex proprietario, ancora meno sanno cosa abbia significato quel nome nella storia del secolo scorso. Ma il mare ricorda. E trattiene. Con i suoi silenzi, con le sue maree lente che non cancellano mai davvero nulla.
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Formentera continua a mostrarsi con i suoi colori irresistibili, ma chi si ferma a guardare meglio, scorge nella Helisara un’anomalia poetica. Un frammento di passato che non vuole sparire. E che forse, proprio per questo, dice molto di più di quanto sembri.